Municipio della IV Regio
augustea, Forum Sempronii fu fondato da C.
Sempronio Gracco tra il 133 ed il 126 a.C., e deve
la denominazione appunto al suo fondatore, il cui
intervento diretto in applicazione della legge
agraria è registrato da un cippo confinario
iscritto, proveniente da S. Cesareo di Fano.
L’abitato romano si trovava nei pressi del sito
occupato dall’odierna frazione di S. Martino del
Piano, a 2 km ad Est dell’attuale abitato di
Fossombrone, il cui poleonimo continua quello
romano. Forum Sempronii sorgeva in una
stretta valle lungo il corso del Metauro e sulla via
Flaminia, ad una trentina di km dall’Adriatico.
Descrizione
Innanzitutto, nella zona di
Fossombrone rimangono imponenti resti dei ponti
romani sulla via Flaminia, dei quali alcuni sono
ancora in funzione. Il centro urbano era
attraversato dalla via Flaminia, che apriva le due
porte principali sulla cinta muraria: della Porta
Gallica, ad Est, rimane la menzione in
un’iscrizione. Delle strade interne sono ancora
visibili ampi tratti di basolato; mentre numerose
are con dedica testimoniano altrettanti luoghi di
culto ad es. a Fortuna, Silvano, Bacco, Apollo,
Cibele. I resti più cospicui sono quelli delle
terme, un edificio a sviluppo longitudinale con
pavimenti a mosaico, un’area absidata e complesse
canalizzazioni, frequentato dal I al IV sec. d.C. Al
di fuori delle mura sono state individuati due
sepolcreti, in ognuna delle direzioni della
Flaminia; quello occidentale dei due aveva carattere
monumentale. I materiali dal sito di Forum
Sempronii, in particolar modo quelli epigrafici,
di grandissimo interesse, sono raccolti nel locale
Museo Civico "A. Vernarecci".
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La visita all’area
archeologica, illustrata da pannelli esplicativi,
ha inizio dall’area della Chiesa di San Martino,
di origine plebana e le cui attuali linee
architettoniche risalgono al XVIII secolo.
L’ingresso è posto sulla destra della chiesa
dove vi è anche il parcheggio per le auto. I
resti visibili si trovano a sud dell’attuale
Strada Statale 3 Flaminia, anche se la città si
estendeva pure a nord di questa. A fianco della
chiesa si possono notare un dolio, un grande
contenitore per liquidi o derrate alimentari che
in genere veniva interrato per oltre la metà
della sua altezza, e alcuni elementi
architettonici in pietra: si tratta di materiale
recuperato dall’area urbana nel corso di vecchi
scavi. Si è già avuto modo di dire che la strada
consolare Flaminia ha avuto un ruolo fondamentale
nella nascita della città e che ne è l’asse
generatore dell’impianto urbanistico,
costituendone il decumanus maximus. La
Strada Statale 3 ricalca sostanzialmente il
tracciato della consolare alla quale si sovrappone
in parte: poco oltre la Chiesa di San Martino, in
direzione est, proprio sulla destra dell’attuale
strada, è stato messo in luce un tratto del
basolato della Flaminia romana. Gli scavi hanno
poi consentito di riportare alla luce anche altri
tratti di strade basolate e precisamente di un
decumano parallelo alla Flaminia e di due kardines,
cioè di assi stradali orientati sostanzialmente
in senso nord-sud e intersecantisi con questo
decumano in modo ortogonale. Questi resti del
tessuto viario consentono di ricostruire, seppur
in modo ipotetico, l’assetto urbanistico. Nel
complesso Forum Sempronii aveva una
estensione di circa 24 ettari ed era articolata in
isolati (insulae) di forma rettangolare con asse
maggiore in senso est-ovest, la cui estensione era
di m 105x70, vale a dire 3x2 actus secondo le
misure romane. L’area del foro, cioè della
piazza pubblica presso la quale si intersecavano i
due assi viari principali (il decumanus maximus
e il kardo maximus), non è ancora stata
identificata, anche se non si esclude che essa
possa trovarsi dove ora sorge la Chiesa di San
Martino. Sono invece stati messi in luce
importanti resti di edifici privati e pubblici,
oltre ai già ricordati tratti di lastricato
stradale nel quale è impiegata pietra calcarea
del vicino Furlo. Proprio dietro la Chiesa di San
Martino, subito a est del tratto di kardo
ora percorribile, tra il 1879 e il 1881 è stata
individuata, ma poi ricoperta, parte di una domus
con atrio corinzio, e con pregevoli mosaici
pavimentali, tra cui quello che al centro ritrae
Europa seduta su un toro in corsa (che non è
altro che Giove). Nel 1926 il mosaico venne di
nuovo scoperto per essere asportato e trasferito
al Museo Nazionale di Ancona dove tuttora si
trova. Percorrendo verso ovest il decumanus,
in direzione dell’altro cardine urbano messo in
luce, si possono osservare altre interessanti
strutture. A sinistra la strada è fiancheggiata
da una fogna coperta da grosse lastre di pietra
locale. Sul lato opposto si trovano otto grandi
basi, anch’esse in pietra e interpretate come
appoggio dei pilastri di un portico o basi per
statue di personaggi di alto rango se non di
divinità. Proseguendo, sulla destra si notano i
resti di un edificio termale, la cui funzione è
provata dalla presenza di pilae, le piccole
colonne costituite da mattoni circolari o quadrati
e destinate a sostenere un soprastante piano
pavimetale ora non più conservato. È questo il
sistema di riscaldamento noto come “ipocausto”,
basato sulla circolazione di aria calda nelle
intercapedini sottopavimentali, al quale spesso si
affiancava anche una circolazione parietali
tramite la messa in opera di tubuli, e tipico dei
complessi termali sia pubblici che privati.
Naturalmente è necessario attendere che gli scavi
riportino alla luce l’intero complesso, di cui
ora è nota solo una minima parte posta in fregio
alla strada, ma appare condivisibile l’ipotesi
che possa trattarsi delle terme maggiori di Forum
Sempronii. Anche lungo il secondo cardine
visibile, che interseca a ovest questa strada,
recenti scavi hanno messo in luce altre strutture,
ora in parte coperte in attesa di restauro, e la
cui natura potrà essere definita e compresa solo
dopo un accurato studio dei dati archeologici
acquisiti. Il grande complesso termale Nella parte
meridionale della città, in prossimità della
scarpata incisa dal Metauro, è stato messo in
luce fra il 1974 e il 1982 un secondo grande
complesso termale che forse, almeno per un certo
periodo, è stato destinato ad un uso
prevalentemente femminile. Le strutture sono ora
protette da una tettoia e la visita si effettua
percorrendo una passerella che attraversa gli
ambienti principali. All’inizio del percorso un
grande pannello illustra la planimetria
dell’edificio. Si tratta di un complesso
articolato in oltre venti ambienti disposti
intorno a un cortile centrale. Costruito nel I se
colo a.C. la sua frequentazione si protrasse, con
sicuri cambiamenti d’uso nella fase più tarda,
fino agli inizi del V secolo, quando venne
definitivamente abbandonato come dimostra anche la
scoperta di due tombe terragne scavate nei
pavimenti di due ambienti. Molti vani conservano
resti del sistema di riscaldamento a ipocausto e
altrettanto evidenti sono le strutture
(canalizzazioni e vasche) funzionali all’ampio
uso di acqua che si aveva in questi edifici. Il
cortile centrale ripartisce il complesso in
settori distinti: a ovest si ha una zona con netta
prevalenza di ambienti dotati di suspensurae
pavimentali e intercapedini parietali, che
costituivano il settore termale in senso stretto,
mentre intorno ai lati nord ed est del cortile si
dispongono stanze prive di impianto di
riscaldamento e, quindi, con diversa destinazione
d’uso. Nell’ala occidentale l’ambiente
maggiormente rappresentativo è costituito dalla
grande sala absidata con pavimentazione in mosaico
bianco definito da una doppia cornice in tessere
rosse e nere. Forse si tratta del frigidarium, a
fianco del quale si dispongono gli altri vani con
funzioni specifiche che davano vita al tipico
percorso termale articolato nella canonica
sequenza frigidarium-tepidarium-calidarium.
Questi ultimi due vani, che potevano essere
presenti anche in numero doppio, non sono stati
identificati con precisione ma è logico
localizzarli negli ambienti più grandi fra quelli
riscaldati con il sistema a ipocausto. Nei muri
perimetrali di alcuni di questi sono evidenti le
aperture che consentivano l’immissione
dell’aria calda dai forni retrostanti. Da notare
che in questi vani il paramento murario esterno è
in blocchetti di pietra calcarea locale, mentre
quello interno è in laterizio, un materiale più
resistente al calore e più isolante. Il complesso
era dotato di alcune vasche, tra cui una di
discrete dimensioni, con fondo in mosaico a
tessere bianche e pareti rivestite da lastre (crustae)
in marmo applicate su un doppio strato di
cocciopesto che aveva funzione impermeabilizzante.
Da sud a nord l’edificio era attraversato da una
fognatura centrale che raccoglieva le acque
utilizzate nelle vasche e gli scarichi delle
latrine per riversarli nel vicino Metauro. Le
mura. Anche se ne sono rimaste labili tracce
è opinione condivisa che la città fosse dotata
di una cinta muraria. Su base epigrafica è certa
l’esistenza di una Porta Gallica, che
probabilmente si apriva nella parte orientale
della supposta cortina per consentire il passaggio
della Flaminia, ma di cui non si ha ancora
testimonianza archeologica. Un tratto di mura
urbiche, con annessa torre circolare, si conserva
sotto lo stabilimento ex-CIA. Si tratta di una
struttura costruita con numeroso materiale di
spoglio, qui reimpiegato evidentemente in
occasione di una improvvisa e urgente necessità
di rafforzare le difese a protezione dell’area
urbana. Giustamente si è proposto di attribuire
questi resti a un intervento di restauro e
ristrutturazione della cinta muraria al tempo
della guerra greco-gotica, a testimonianza
dell’importanza assunta dalla città
nell’assetto difensivo bizantino per la sua
collocazione lungo la via Flaminia e in prossimità
del castrum di Petra Pertusa.
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