a cura di Ernesto Paleani

Centro internazionale di studi geocartografici storici

Alert "Atlantis. Indagine bibliografica dalle fonti di Platone fino agli scrittori moderni e le ipotetiche ricostruzioni cartografiche"

a cura di Ernesto Paleani..

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L’Atlantide di Pierre Benoit

Lo sfondo del racconto è il dominio coloniale francese nell’Africa settentrionale alla fine del diciannovesimo secolo. In un fortino dell’esercito nel sud Algeria, Hassi-Inifel ai limiti di quello che era allora il Sahara conosciuto, il capitano André de Saint-Avit, racconta al tenente Ferrières la storia della sua ultima missione.

Sei anni addietro compiendo un’esplorazione all’interno del deserto algerino, l’allora tenente Saint-Avit assieme al suo superiore, il capitano Francois Morhange, furono colti da uno di quegli improvvisi e pericolosi temporali del Sahara.

Trovato riparo in una grotta su una sporgenza rocciosa, scoprono al suo interno una strana iscrizione. Il capitano Morhange, grazie ai suoi studi di linguistica ed a quelli da novizio, compiuto durante la sua permanenza in uno dei più importanti conventi francesi, riuscì a decifrarlo. L’iscrizione scolpita nella roccia citava il nome greco di Antinea.

Mentre erano alle prese con quella strana iscrizione, trassero in salvo un touareg travolto dalle impetuose acque temporalesche assieme al suo cammello.

Questi disse di essere Eg-Anteouen e di far parte di una tribù touareg dell’Hahggar; inoltre, visto l’interessamento del capitano all’iscrizione, disse di conoscere altri posti con iscrizioni del genere, e si rese disponibile ad accompagnarlo.

Abbandonate le piste programmate, i due ufficiali si inoltrarono in luoghi definiti dalle popolazioni arabe del Nord come Blad-el-Khouf, Il paese della paura, in percorsi tenebrosi fra le spaccature delle montagne fino allora non battute da europei, o più opportunamente nessuno è tornato indietro a raccontarlo, come la disgraziata missione Flatters.

Arrivati nel primo luogo in cui vi si potevano trovare altre iscrizioni, con uno stratagemma furono drogati dal touareg; così il misterioso personaggio poté rilevare la sua vera identità. Era Cegheir-ben-Cheikh, famoso e temutissimo brigante, ma in quella occasione nella sua principale occupazione, quella di procacciatore di uomini.



Al loro risveglio si trovarono all’interno di un palazzo sconosciuto scavato nella roccia circondata da alte vette innevate, e da una paradisiaca visione di ruscelli, vegetazione lussureggiante e fauna inimmaginabili da trovare in pieno Sahara.  

La loro meraviglia continuò quando cominciarono ad esaminare il locale in cui si trovarono: a parte l’arredamento misto europeo ed orientale vi si trovava una biblioteca colma di libri e una scrivania che spariva sotto un inverosimile ammasso di carte, di fascicoli e volumi.

Lo studioso Morhange rimase estasiato dalla presenza di pubblicazioni antiche, e di alcune di queste ritenute ormai smarrite nel tempo.

Ma in quale posto strano e assieme meraviglioso erano finiti? 
A questa domanda rispose Étienne Le Mesge, “un uomo piccolo calvo, dal viso giallo e appuntito, mezzo nascosto da un enorme paio di occhiali verdi, con una barbetta sale e pepe.” Ex professore di liceo in Francia, entrò casualmente in possesso di un’opera ritenuta perduta scritta da Dionigi di Mileto, dove si descriveva l’esistenza della mitica Atlantide nelle montagne dell’Hahggar. Folgorato da questa scoperta mollò tutto e andò alla ricerca di questa mitica città, fino a diventarne l’ossessionato bibliotecario. 

Tutti hanno creduto ad una sommersione; in effetti non c’è stata sommersione, ma emersione. Nuove terre sono emerse dall’oceano, e il deserto ha sostituito il mare. [ … ] Oggi, di quella bella isola che il mare e i venti rendevano superba e verdeggiante, non resta che questo massiccio calcinato. Sola è sopravvissuta, in questa conchetta rocciosa isolata per sempre dal mondo dei vivi, l’oasi meravigliosa che avete ai vostri piedi, quei frutti rossi, quelle cascate, quel lago azzurro, testimoni sacri della scomparsa età dell’oro. [ … ] In quell’immensa catastrofe, essa si è mantenuta simile a quella che fu un tempo, nel suo antico splendore, quella montagna là di fronte, la montagna in cui Nettuno rinchiuse la sua diletta Clito, figlia di Evenor e Leucippe, madre di Atlante, avola millenaria di Antinea, la sovrana sotto le cui dipendenze voi siete passati per sempre.

Aprì l’uno dopo altro gli armadi di quella prodigiosa biblioteca per la quale lui oramai viveva. “Tutto, tutto c’è qui...”  mormorò Morhange, con un’immensa espressione di terrore e ammirazione insieme. 

Voi dimenticate dunque il passo in cui Plinio il Vecchio parla della biblioteca di Cartagine e dei tesori che vi erano ammucchiati? ” -
Continuò Le Mesge. – “Nel 146, quando questa città cadde sotto i colpi di quel gaglioffo di Scipione, l’inverosimile ammasso d’illetterati che si chiamava il Senato romano ebbe per quei tesori il più profondo dispregio, e non trovò di meglio che farne dono ai re indigeni. Fu così che Mastanabal raccolse la meravigliosa eredità, trasmessa poi ai suoi figli e nipoti, Hiempsal, Giuba I e Giuba II, il marito dell’ammirabile Cleopatra Selene, figlia della grande Cleopatra e di Marco Antonio. Cleopatra Selene ebbe una figlia che sposò un re atlante. In tal modo Antinea, discendente di Nettuno, conta nel numero dei suoi antenati l’immortale regina d’Egitto; e in tal modo, per diritto d’eredità le vestigia della biblioteca di Cartagine, arricchite di quelle della biblioteca d’Alessandria, si trovano in questo momento sotto i vostri occhi.
La scienza fugge l’uomo. Mentre egli formava le sue mostruose Babeli pseudo-scientifiche, Berlino, Londra, Parigi, la scienza si relegava in quest’angolo del deserto dell’Hahggar. Possono foggiare fin che vogliono, laggiù, le loro ipotesi, fondate sulla perdita delle opere misteriose dell’antichità: queste opere non sono perdute. Sono qui.

Qui i libri ebraici, caldei, assiri; qui, le grandi tradizioni egiziane, che ispirarono Solone, Erodoto, Platone; qui i mitografi greci, i maghi dell’Africa romana, i sognatori indiani, tutti i tesori, in una parola, la cui assenza fa delle dissertazioni contemporanee altrettante povere e ridicole cose
.  

L’intellettuale Morhange era quasi intontito dalla visione di cotanta cultura presente in quegli armadi. Ma in più pragmatico Saint-Avit era molto più interessato a capire che cosa voleva da loro la misteriosa padrona di quel luogo.
Le Mesge soddisfece con un riso stridente a questa richiesta e li accompagnò, attraverso un seguito interminabile di scale e corridoi, alla Sala di Marmo Rosso.

Da principio l’oscurità quasi non permise di vederne la sua l’ampiezza. L’immensa stanza era illuminata con larghe fiamme rosse da dodici enormi lampade di rame posate sul pavimento e disposte in circolo, attorno un masso centrale scavato anch’esso nella roccia, da cui sgorgava una zampillante fontana.
Appena gli occhi si abituarono, l’attenzione dei due ufficiali fu attratta dalle numerose nicchie scavate nelle pareti. Saint-Avit ne contò centoventi e notò che in una trentina di loro vi si trovava una forma umana come una statua.

La risposta a tutto questo arrivò subito. Tre touareg entrarono trasportando un lungo involto che disfecero dopo aver ritirato da una nicchia una cassa simile ad un sarcofago.
Questa, fece notare il professore, era una prova delle influenze egiziane su quel paese.
Poi prese un cartello che fissò sulla parte anteriore della cassa.
Appena lo lessero trasalirono sconcertati. 

Numero 53. Maggiore Sir Archibald Russell.
Nato a Richmond il 5 Luglio 1860.
Morto all’Hahggar, il 3 dicembre 1896.

Che cosa voleva dire quel cartello? E cosa era quella forma umana uscita dal pacco?
Era il maggiore Russell.
Quella che sembrava una statua era un uomo non mummificato come facevano gli antichi egizi, ma ricoperto d’oricalco, con un sistema originale di galvanoplastica di quel metallo speciale ottenuto solamente ad Atlantide, come ricordava Platone.

Inebetiti dall’orrore Morhange e Saint-Avit cominciarono a leggere gli altri cartelli. 

Numero 52. Capitano Laurent Deligne …   Numero 51. Colonnello von Withmann …
Numero 48. Sottotenente Louis de Maillefeu … un amico d’infanzia di Saint-Avit … 

Ma perché tanto odio da parte della regina Antinea?
Fu di nuovo Le Mesge a dare la spiegazione.


 

Avete veramente dimenticato fino a che punto le belle regine barbare dell’antichità hanno avuto a lagnarsi degli stranieri che la ventura spinse alle loro rive? [ … ]
Quei signori usavano largamente della bellezza della regina e delle ricchezze. Poi, una bella mattina sparivano. E la delusa poteva dirsi ben fortunata se l’amico, avendo ben segnato il posto, non ritornava con navi e truppe di occupazione.  

Ulisse con Calipso, Diomede con Calliroe, Teseo con Arianna, Giasone con Medea, Enea con Didone, Cesare con Cleopatra, Tito con Berenice, … 

Era tempo che i figli di Iafet saldassero alle figlie di Sem quei formidabili conti di offese. Ed ecco che è sorta una donna … [ … ] ella chiama a sé gli uomini più giovani e più valenti. [ … ] Di quei giovani audaci, ella prende quello che possono dare.
Presta il suo corpo, ma con l’anima li domina
. 

Attira gli uomini nel suo regno come un ragno nel mezzo della sua tela, e dopo aver trascorso con loro delle splendide notti d’amore, Antinea uccide questi suoi amanti e ne espone i corpi mummificati in quella che è la sua sinistra sala dei trofei.
Ma non è una morte violenta.

Muoiono tutti d’amore quando vedono che il loro tempo è finito e che Cegheir-ben-Cheikh parte alla ricerca di altri. Parecchi sono morti dolcemente, con grosse lacrime negli occhi. Non dormivano e non mangiavano più.” 

 

 

 

Fu Saint-Avit il primo ad essere portato al cospetto della regina. 

Il klaft egiziano scendeva sui suoi folti riccioli, azzurri a forza d’essere neri, e le due punte della pesante stoffa dorata giungevano alle anche sottili. Intorno alla piccola fronte arcuata e ostinata, si avvolgeva l’aæus d’oro dagli occhi di smeraldo, dardeggiando di sopra alla testa di lei la sua duplice lingua di rubino. [ … ]
Nonostante la sua tunica audacemente aperta di lato, il suo fine seno scoperto, le braccia nude, le ombre misteriose indovinate sotto i veli, trovava il mezzo di restare qualche cosa di molto puro, più ancora, di verginale.”  

Fu un incontro breve, ma sufficiente ad innescare l’inizio della passione e della tragedia.
Anche Morhange ebbe modo di conoscere Antinea, ma questi dimostrò di non essere poi molto sconvolto dalla regina. La sua missione scientifica era molto più importante, e considerate le proprie tendenze religiose si impose di non farsi coinvolgere “dai capricci più assurdi di questa signora, confidando nella sua superiorità intellettuale come uomo, rispetto alla donna.

Pochi giorni dopo durante un pranzo Morhange fu prelevato dalle guardie della Regina e il suo compagno, per giorni, non lo vide più.
Da quel momento scoppiò inesorabile la “febbre” di Saint-Avit. Pur conoscendo il proprio destino, cioè diventare l’ospite 54 o 55 della Sala di Marmo Rosso, ma non poteva trattenere il desiderio della chiamata di Antinea.
Un condannato a morte che bramava la sua ora. 

Prigioniero di una situazione inaudita, non solo tu non fai nulla per liberarti, ma benedici finanche la tua schiavitù e aspiri alla tua rovina. [ … ] Lo so, Morhange in questo minuto è accanto ad Antinea, … [ … ] Ma una sera, fra tre mesi, quattro forse, gli imbalsamatori verranno qui. La nicchia 54 riceverà la sua preda. Allora, un Touareg bianco si avanzerà verso di me; ed io fremerò di un’estasi magnifica. Mi toccherà il braccio. E sarà la mia volta di penetrare nell’eternità per la porta sanguinante dell’amore. 

Una notte al culmine del tormento, di nascosto riuscì ad introdursi negli appartamenti della Regina, eludendo la vigilanza delle guardie touareg, proprio mentre Antinea aveva fatto portare al suo cospetto l’inamovibile Morhange.

 

 

 

 

Il capitano si ostinava a non cedere alle lusinghe sessuali dell’avvenente donna, anche con le promesse di una probabile liberazione.
Saint-Avit assistette, nascosto, all’ennesimo scontro fra i due.

Ci fu come un buco temporale, e fu come uno stato di allucinazione che gli parve di pronunciare: “Quel che vorrai, quello che mi chiederai, lo farò, lo farò.

Risvegliatosi nella sua camera, cercò di ricordarsi quello che era accaduto.
Era stato nella camera di Antinea. Ma cosa era successo dopo?
Poi piano piano, come al diradarsi della nebbia, i tremendi ricordi presero forma: aveva ucciso il suo compagno.
Era impazzito, nell’ardore di lei, al punto di farsi istigare ad uccidere Morhange.

 

 

 

 

 

 

Riuscì a fuggire da Atlantide e da Antinea e fu trovato miracolosamente da una squadra di esploratori dell’esercito francese, morente di fame e di sete nel deserto in direzione sud.
Dopo un mese di cure e di deliri, fu acquisita la versione ufficiale che il Capitano Morhange, morto per un’insolazione, era stato sotterrato da Saint-Avit nella zona di Tarhit. Tutti capirono le falle di questa versione, indovinando il dramma misterioso che si celava dietro le frasi sconnesse che vennero pronunciate durante i febbricitanti deliri. Ma a quanto avere le prove, era ben altro. 

Saint-Avit tornò dalla Francia dopo un periodo di riposo, e Cegheir-ben-Cheikh era pronto ad accompagnarlo per l’ultimo viaggio verso Hahggar. Non andrà, dopo morto ad “imputridire, sotto un numero di registro mortuario, nelle immondizie di un cimitero suburbano”. I suoi fratelli d’amore, i cinquanta cavalieri d’oricalco lo stanno aspettando, muti e gravi, nella Sala di Marmo Rosso. E nel giorno in cui le centoventi nicchie scavate in circolo al suo trono, avranno ricevuto ciascuna la sua preda consenziente e accontentata, là si ergerà Antinea, per l’eternità, nella sua poltrona di oricalco, con lo pschent e l’uræus d’oro in testa, e in mano il tridente di Nettuno. 

“Da sei anni, non so più niente di lei. Ma la vedo, le parlo. Penso al momento che mi troverò di nuovo dinanzi a lei… Mi getterò ai suoi piedi e le dirò soltanto: Perdona! Ho potuto ribellarmi alla tua legge solo perché non avevo capito.
Famiglia, onore, patria, - diceva il vecchio Le Mesge - dimenticherebbe tutto per lei.”

Ora Saint-Avit era pronto a dirigersi verso il proprio destino.

 

Le illustrazioni in bianco&nero presenti in questa pagina riproducono le incisioni di Almery Lobel-Riche (1877 - 1950), dedicate al romanzo di Pierre Benoit.

 

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