Lo
sfondo del racconto è il dominio coloniale francese
nell’Africa settentrionale alla fine del diciannovesimo
secolo. In un fortino dell’esercito nel sud Algeria,
Hassi-Inifel ai limiti di quello che era allora il Sahara
conosciuto, il capitano André de Saint-Avit,
racconta al tenente Ferrières la storia della sua ultima
missione.
Sei
anni addietro compiendo un’esplorazione all’interno
del deserto algerino, l’allora tenente Saint-Avit
assieme al suo superiore, il capitano Francois Morhange,
furono colti da uno di quegli improvvisi e pericolosi
temporali del Sahara.
Trovato
riparo in una grotta su una sporgenza rocciosa, scoprono
al suo interno una strana iscrizione. Il capitano Morhange,
grazie ai suoi studi di linguistica ed a quelli da
novizio, compiuto durante la sua permanenza in uno dei più
importanti conventi francesi, riuscì a decifrarlo.
L’iscrizione scolpita nella roccia citava il nome greco
di Antinea.
Mentre
erano alle prese con quella strana iscrizione, trassero in
salvo un touareg travolto dalle impetuose acque
temporalesche assieme al suo cammello.
Questi
disse di essere Eg-Anteouen e di far parte di una
tribù touareg dell’Hahggar; inoltre, visto
l’interessamento del capitano all’iscrizione, disse di
conoscere altri posti con iscrizioni del genere, e si rese
disponibile ad accompagnarlo.
Abbandonate
le piste programmate, i due ufficiali si inoltrarono in
luoghi definiti dalle popolazioni arabe del Nord come
Blad-el-Khouf, Il paese della paura, in percorsi
tenebrosi fra le spaccature delle montagne fino allora non
battute da europei, o più opportunamente nessuno è
tornato indietro a raccontarlo, come la disgraziata
missione Flatters.
Arrivati
nel primo luogo in cui vi si potevano trovare altre
iscrizioni, con uno stratagemma furono drogati dal touareg;
così il misterioso personaggio poté rilevare la sua vera
identità. Era Cegheir-ben-Cheikh, famoso e
temutissimo brigante, ma in quella occasione nella sua
principale occupazione, quella di procacciatore di uomini.

Al
loro risveglio si trovarono all’interno di un palazzo
sconosciuto scavato nella roccia circondata da alte vette
innevate, e da una paradisiaca visione di ruscelli,
vegetazione lussureggiante e fauna inimmaginabili da
trovare in pieno Sahara.
La
loro meraviglia continuò quando cominciarono ad esaminare
il locale in cui si trovarono: a parte l’arredamento
misto europeo ed orientale vi si trovava una biblioteca
colma di libri e una scrivania che spariva sotto un
inverosimile ammasso di carte, di fascicoli e volumi.
Lo
studioso Morhange rimase estasiato dalla presenza di
pubblicazioni antiche, e di alcune di queste ritenute
ormai smarrite nel tempo.
Ma
in quale posto strano e assieme meraviglioso erano finiti?
A questa domanda rispose Étienne Le Mesge, “un
uomo piccolo calvo, dal viso giallo e appuntito, mezzo
nascosto da un enorme paio di occhiali verdi, con una
barbetta sale e pepe.” Ex professore di liceo in
Francia, entrò casualmente in possesso di un’opera
ritenuta perduta scritta da Dionigi di Mileto, dove si
descriveva l’esistenza della mitica Atlantide nelle
montagne dell’Hahggar. Folgorato da questa scoperta mollò
tutto e andò alla ricerca di questa mitica città, fino a
diventarne l’ossessionato bibliotecario.
“Tutti
hanno creduto ad una sommersione; in effetti non c’è
stata sommersione, ma emersione. Nuove terre sono emerse
dall’oceano, e il deserto ha sostituito il mare. [
… ] Oggi, di quella bella isola che il mare e i venti
rendevano superba e verdeggiante, non resta che questo
massiccio calcinato. Sola è sopravvissuta, in questa
conchetta rocciosa isolata per sempre dal mondo dei vivi,
l’oasi meravigliosa che avete ai vostri piedi, quei
frutti rossi, quelle cascate, quel lago azzurro, testimoni
sacri della scomparsa età dell’oro. [ … ] In
quell’immensa catastrofe, essa si è mantenuta simile a
quella che fu un tempo, nel suo antico splendore, quella
montagna là di fronte, la montagna in cui Nettuno
rinchiuse la sua diletta Clito, figlia di Evenor e
Leucippe, madre di Atlante, avola millenaria di Antinea,
la sovrana sotto le cui dipendenze voi siete passati per
sempre.”
Aprì
l’uno dopo altro gli armadi di quella prodigiosa
biblioteca per la quale lui oramai viveva. “Tutto,
tutto c’è qui...” mormorò Morhange, con
un’immensa espressione di terrore e ammirazione insieme.
“Voi
dimenticate dunque il passo in cui Plinio il Vecchio parla
della biblioteca di Cartagine e dei tesori che vi erano
ammucchiati? ” -
Continuò Le Mesge. – “Nel 146, quando questa città
cadde sotto i colpi di quel gaglioffo di Scipione,
l’inverosimile ammasso d’illetterati che si chiamava
il Senato romano ebbe per quei tesori il più profondo
dispregio, e non trovò di meglio che farne dono ai re
indigeni. Fu così che Mastanabal raccolse la meravigliosa
eredità, trasmessa poi ai suoi figli e nipoti, Hiempsal,
Giuba I e Giuba II, il marito dell’ammirabile Cleopatra
Selene, figlia della grande Cleopatra e di Marco Antonio.
Cleopatra Selene ebbe una figlia che sposò un re atlante.
In tal modo Antinea, discendente di Nettuno, conta nel
numero dei suoi antenati l’immortale regina d’Egitto;
e in tal modo, per diritto d’eredità le vestigia della
biblioteca di Cartagine, arricchite di quelle della
biblioteca d’Alessandria, si trovano in questo momento
sotto i vostri occhi.
La scienza fugge l’uomo. Mentre egli formava le sue
mostruose Babeli pseudo-scientifiche, Berlino, Londra,
Parigi, la scienza si relegava in quest’angolo del
deserto dell’Hahggar. Possono foggiare fin che vogliono,
laggiù, le loro ipotesi, fondate sulla perdita delle
opere misteriose dell’antichità: queste opere non sono
perdute. Sono qui.
Qui i libri ebraici, caldei, assiri; qui, le grandi
tradizioni egiziane, che ispirarono Solone, Erodoto,
Platone; qui i mitografi greci, i maghi dell’Africa
romana, i sognatori indiani, tutti i tesori, in una
parola, la cui assenza fa delle dissertazioni
contemporanee altrettante povere e ridicole cose.”
L’intellettuale
Morhange era quasi intontito dalla visione di cotanta
cultura presente in quegli armadi. Ma in più pragmatico
Saint-Avit era molto più interessato a capire che cosa
voleva da loro la misteriosa padrona di quel luogo.
Le Mesge soddisfece con un riso stridente a questa
richiesta e li accompagnò, attraverso un seguito
interminabile di scale e corridoi, alla Sala di Marmo
Rosso.
Da
principio l’oscurità quasi non permise di vederne la
sua l’ampiezza. L’immensa stanza era illuminata con
larghe fiamme rosse da dodici enormi lampade di rame
posate sul pavimento e disposte in circolo, attorno un
masso centrale scavato anch’esso nella roccia, da cui
sgorgava una zampillante fontana.
Appena gli occhi si abituarono, l’attenzione dei due
ufficiali fu attratta dalle numerose nicchie scavate nelle
pareti. Saint-Avit ne contò centoventi e notò che in una
trentina di loro vi si trovava una forma umana come una
statua.
La
risposta a tutto questo arrivò subito. Tre touareg
entrarono trasportando un lungo involto che disfecero dopo
aver ritirato da una nicchia una cassa simile ad un
sarcofago.
Questa, fece notare il professore, era una prova delle
influenze egiziane su quel paese.
Poi prese un cartello che fissò sulla parte anteriore
della cassa.
Appena lo lessero trasalirono sconcertati.
Numero
53. Maggiore Sir Archibald Russell.
Nato a Richmond il 5 Luglio 1860.
Morto all’Hahggar, il 3 dicembre 1896.
Che
cosa voleva dire quel cartello? E cosa era quella forma
umana uscita dal pacco?
Era il maggiore Russell.
Quella che sembrava una statua era un uomo non mummificato
come facevano gli antichi egizi, ma ricoperto
d’oricalco, con un sistema originale di galvanoplastica
di quel metallo speciale ottenuto solamente ad Atlantide,
come ricordava Platone.
Inebetiti
dall’orrore Morhange e Saint-Avit cominciarono a leggere
gli altri cartelli.
Numero
52. Capitano Laurent Deligne … Numero 51.
Colonnello von Withmann …
Numero 48. Sottotenente Louis de Maillefeu … un amico
d’infanzia di Saint-Avit …
Ma
perché tanto odio da parte della regina Antinea?
Fu di nuovo Le Mesge a dare la spiegazione.
“Avete
veramente dimenticato fino a che punto le belle regine
barbare dell’antichità hanno avuto a lagnarsi degli
stranieri che la ventura spinse alle loro rive? [ …
]
Quei signori usavano largamente della bellezza della
regina e delle ricchezze. Poi, una bella mattina
sparivano. E la delusa poteva dirsi ben fortunata se
l’amico, avendo ben segnato il posto, non ritornava con
navi e truppe di occupazione.”
Ulisse
con Calipso, Diomede con Calliroe, Teseo con Arianna,
Giasone con Medea, Enea con Didone, Cesare con Cleopatra,
Tito con Berenice, …
“Era
tempo che i figli di Iafet saldassero alle figlie di Sem
quei formidabili conti di offese. Ed ecco che è sorta una
donna … [ … ] ella chiama a sé gli uomini più
giovani e più valenti. [ … ] Di quei giovani
audaci, ella prende quello che possono dare.
Presta il suo corpo, ma con l’anima li domina.”
Attira
gli uomini nel suo regno come un ragno nel mezzo della sua
tela, e dopo aver trascorso con loro delle splendide notti
d’amore, Antinea uccide questi suoi amanti e ne espone i
corpi mummificati in quella che è la sua sinistra sala
dei trofei.
Ma non è una morte violenta.
“Muoiono
tutti d’amore quando vedono che il loro tempo è finito
e che Cegheir-ben-Cheikh parte alla ricerca di altri.
Parecchi sono morti dolcemente, con grosse lacrime negli
occhi. Non dormivano e non mangiavano più.”

Fu
Saint-Avit il primo ad essere portato al cospetto della
regina.
“Il
klaft egiziano scendeva sui suoi folti riccioli, azzurri a
forza d’essere neri, e le due punte della pesante stoffa
dorata giungevano alle anche sottili. Intorno alla piccola
fronte arcuata e ostinata, si avvolgeva l’aæus d’oro
dagli occhi di smeraldo, dardeggiando di sopra alla testa
di lei la sua duplice lingua di rubino. [ … ]
Nonostante la sua tunica audacemente aperta di lato, il
suo fine seno scoperto, le braccia nude, le ombre
misteriose indovinate sotto i veli, trovava il mezzo di
restare qualche cosa di molto puro, più ancora, di
verginale.”
Fu
un incontro breve, ma sufficiente ad innescare l’inizio
della passione e della tragedia.
Anche Morhange ebbe modo di conoscere Antinea, ma questi
dimostrò di non essere poi molto sconvolto dalla regina.
La sua missione scientifica era molto più importante, e
considerate le proprie tendenze religiose si impose di non
farsi coinvolgere “dai capricci più assurdi di
questa signora…”, confidando nella sua
superiorità intellettuale come uomo, rispetto alla donna.
Pochi
giorni dopo durante un pranzo Morhange fu prelevato dalle
guardie della Regina e il suo compagno, per giorni, non lo
vide più.
Da quel momento scoppiò inesorabile la “febbre” di
Saint-Avit. Pur conoscendo il proprio destino, cioè
diventare l’ospite 54 o 55 della Sala di Marmo Rosso, ma
non poteva trattenere il desiderio della chiamata di
Antinea.
Un condannato a morte che bramava la sua ora.
“Prigioniero
di una situazione inaudita, non solo tu non fai nulla per
liberarti, ma benedici finanche la tua schiavitù e aspiri
alla tua rovina. [ … ] Lo so, Morhange in questo
minuto è accanto ad Antinea, … [ … ] Ma una
sera, fra tre mesi, quattro forse, gli imbalsamatori
verranno qui. La nicchia 54 riceverà la sua preda.
Allora, un Touareg bianco si avanzerà verso di me; ed io
fremerò di un’estasi magnifica. Mi toccherà il
braccio. E sarà la mia volta di penetrare nell’eternità
per la porta sanguinante dell’amore.”
Una
notte al culmine del tormento, di nascosto riuscì ad
introdursi negli appartamenti della Regina, eludendo la
vigilanza delle guardie touareg, proprio mentre Antinea
aveva fatto portare al suo cospetto l’inamovibile
Morhange.
Il
capitano si ostinava a non cedere alle lusinghe sessuali
dell’avvenente donna, anche con le promesse di una
probabile liberazione.
Saint-Avit assistette, nascosto, all’ennesimo scontro
fra i due.
Ci
fu come un buco temporale, e fu come uno stato di
allucinazione che gli parve di pronunciare: “Quel che
vorrai, quello che mi chiederai, lo farò, lo farò.”
Risvegliatosi
nella sua camera, cercò di ricordarsi quello che era
accaduto.
Era stato nella camera di Antinea. Ma cosa era successo
dopo?
Poi piano piano, come al diradarsi della nebbia, i
tremendi ricordi presero forma: aveva ucciso il suo
compagno.
Era impazzito, nell’ardore di lei, al punto di farsi
istigare ad uccidere Morhange.
Riuscì
a fuggire da Atlantide e da Antinea e fu trovato
miracolosamente da una squadra di esploratori
dell’esercito francese, morente di fame e di sete nel
deserto in direzione sud.
Dopo un mese di cure e di deliri, fu acquisita la versione
ufficiale che il Capitano Morhange, morto per
un’insolazione, era stato sotterrato da Saint-Avit nella
zona di Tarhit. Tutti capirono le falle di questa
versione, indovinando il dramma misterioso che si celava
dietro le frasi sconnesse che vennero pronunciate durante
i febbricitanti deliri. Ma a quanto avere le prove, era
ben altro.
Saint-Avit
tornò dalla Francia dopo un periodo di riposo, e
Cegheir-ben-Cheikh era pronto ad accompagnarlo per
l’ultimo viaggio verso Hahggar. Non andrà, dopo morto
ad “imputridire, sotto un numero di registro
mortuario, nelle immondizie di un cimitero suburbano”.
I suoi fratelli d’amore, i cinquanta cavalieri
d’oricalco lo stanno aspettando, muti e gravi, nella
Sala di Marmo Rosso. E nel giorno in cui le centoventi
nicchie scavate in circolo al suo trono, avranno ricevuto
ciascuna la sua preda consenziente e accontentata, là si
ergerà Antinea, per l’eternità, nella sua poltrona di
oricalco, con lo pschent e l’uræus d’oro in testa, e
in mano il tridente di Nettuno.
“Da
sei anni, non so più niente di lei. Ma la vedo, le parlo.
Penso al momento che mi troverò di nuovo dinanzi a lei…
Mi getterò ai suoi piedi e le dirò soltanto: Perdona! Ho
potuto ribellarmi alla tua legge solo perché non avevo
capito.”
“Famiglia, onore, patria, - diceva il vecchio Le
Mesge - dimenticherebbe tutto per lei.”
Ora
Saint-Avit era pronto a dirigersi verso il proprio
destino.

Le
illustrazioni in bianco&nero presenti in questa pagina
riproducono le incisioni di Almery Lobel-Riche (1877 -
1950), dedicate al romanzo di Pierre Benoit.
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